Il maggior ostacolo nella conoscenza dei ritmi latini riguarda la loro tradizione musicale. La massima parte dei brani oggi conosciuti sono trasmessi con una notazione che rivela, e solo in modo parziale, la direzione della melodia, verso l’alto o verso il basso. I ritmi sono infatti scritti con una notazione in campo aperto (cioè senza l’inserimento dei segni su un telaio di linee) e adiastematica (i segni non indicano gli intervalli tra i vari suoni). In questa particolare situazione mancano per i ritmi gli aiuti che permettono in altre tradizioni di trascrivere con certezza o con un certo margine di probabilità le notazioni in qualche modo difettose1. Si vede inoltre in questo momento la geniale scrittura della musica su rigo codificata da Guido d’Arezzo. Prima di questo stratagemma grafico, la scrittura neumatica non permetteva ai cantori di cantare brani che fossero loro ignoti. Viceversa, per i cantori medievali che conoscevano le melodie, la scrittura era del tutto superflua.
Di fronte all’insormontabile mutismo di testi notati non ci si è scoraggiati2. A partire dal XIX secolo alcuni studiosi si sono cimentati con l’impossibile. Forti di loro personali convincimenti, si sono accinti a proporre melodie per ritmi e altri prodotti creati dal genio musicale e poetico medievale. Convincimenti frutto sia di analisi dei brani conosciuti da fonti tardive sia di grande fantasia. Un problema posto dalla musica medioevale è la presenza di brani polimelodici, fenomeno raro nei repertori liturgici, diffuso in altri ambiti. Molti brani erano cantati su differenti melodie, diverse tra di loro. In una prospettiva teorica, non si possono pertanto escludere a priori soluzioni melodiche diverse nella trascrizione dei ritmi.
Merita di essere segnalato Edmondo de Coussemaker che nel 1852 pubblica il primo corpus di ritmi3. Quasi un secolo dopo è la volta di Ugo Sesini che illustra la produzione poetica della latinità cristiana con numerosi esempi musicali4. Negli ultimi anni è stato Bryan Gillingham a occuparsi della musica dei ritmi e a fare nuove proposte5. Questi tre editori presentano tre diverse scuole di pensiero che emergono soprattutto in due prospettive, quella ritmica e quella melodico-modale. Coussemaker, ad esempio, predilige i 6/4, Sesini opta per i 5+7/4; entrambi presentano soluzioni complesse con gruppi di abbellimento. Gillingham trascrive a sua volta i brani in modo sobrio, con un ritmo libero e, giustamente, senza battute. Coussemaker pensa a una presenza massiccia di melodie in Fa nel medioevo, una modalità che oggi sappiamo diffusa soprattutto in ambito germanico. Sesini e Gillingham preferiscono le melodie in Re che di fatto prevale nei repertori liturgici di area franca.
Le varie trascrizioni sono presentate nella loro edizione grafica, ma ciò che esse significano traspare in modo eloquente dalla riproduzione sonora eseguita con attenzione più al fatto storico che a gusti estetici. Si è eseguito il canto nella nuda trascrizione/creazione dei vari editori, senza fare interventi di amplificazione timbrica che pur potrebbero essere postulati in via ipotetica come, ad esempio, l’inserimento di polifonie semplici e di strumenti.