1.1 — A solis ortu usque ad occidua

A solis ortu usque ad occidua
(ed. F. Stella - S. Barrett)


Planctus per la morte di Carlo Magno, composto verosimilmente subito dopo l'evento (28 gennaio 814), forse da un monaco di Bobbio, come rivelerebbe l'invocazione a Colombano, fondatore e protettore del monastero stesso. E' considerata una delle liriche più suggestive del Medioevo latino, testimonianza della partecipazione corale dell'Impero, e specie delle sue componenti ecclesiastiche, al dolore per la scomparsa di Carlo.
Il ritornello attesta la destinazione del testo a recitazione collettiva (a due cori, o un coro più corifeo o celebrante), paraliturgica, ma la forma prevalente è al singolare (Heu mihi misero!), il che ne lascia ipotizzare la composizione individuale. La forma stessa del refrain è diversa nei vari codici: il Parigino la omette, il Veronese ha heu [eum] mihi misero, il ms. di Trier lo estende a Heu mihi misero sic lugebam Karolo, mentre il Bruxellensis varia in Heu mihi doleo, il che fa pensare che la forma originaria fosse solo Heu mihi, oppure Heu mihi misero (comune a due ms. non dipendenti l'uno dall'altro).
Il titolo, che diverge in tutti i manoscritti, non è evidentemente originario, e lascia un punto interrogativo sull'identificazione dell'Andrea cui sarebbe destinato il testo. Un'ipotesi suggestiva ci spingerebbe a proporre un collegamento con l'Andreas religiosus abbas citato nell'ep. 76 di papa Adriano I a Carlo (del'anno 786) come latore della missiva cui il papa risponde (MGH Ep. I p. 607, codex Carolinus 76): un personaggio di alto rango, con esperienza delle regioni nominate nella poesia (Italia e Francia) e identificato dagli storici con l'abate Andrea di Luxeuil, monastero colombaniano.1
Molto citato per il suo rapporto con l'avvenimento storico e il grande personaggio che celebra, è stato in realtà poco studiato come testo poetico, caratterizzato da un andamento altalenante fra la constatazione del dolore universale e la preghiera per Carlo, ma permeata da inserti luttuosi nelle parti precali e da inserti precali nelle parti di lutto. Il focus, che parte da un luogo oltremare (interpretabile anche come oltrelago: comunque l'Italia), si allarga subito ai popoli divisi da quel mare ma uniti dal dolore per la morte di Carlo. Da dolore delle nazioni il sentimento si articola in dolore delle classi sociali che hanno perso il loro punto di riferimento, per riallargarsi subito al mondo intero (orbis, str. 5). La str. 6, che elenca i meriti caritativi di Carlo, introduce alla preghiera perché quei meriti gli guadagnino il cielo, invocazione che l'autore garantisce condivisa da tutte le categorie di popolo prima nominate. Alla preghiera, rivolta prima a Cristo poi alla Spirito Santo, sono inframmezzate espressioni di cordoglio per Roma e l'Italia che hanno perso una protezione, e per la Francia. Il baricentro del carme, per un lettore moderno, è il corto-circuito fra la strofa 15, che introduce nel quadro il dolore personale dell'autore (mihi), con la sua trasformazione simbolica in notte senza luci, e la str. 16 che definisce politicamente la scomparsa di Carlo come morte del principe della christianitas, con una consapevolezza ideologica che rivela nell'autore un monaco molto vicino alla cultura di corte. Nelle quattro strofe di preghiera dossologica conclusiva si insinua l'elemento agiografico locale, quell'invocazione a san Colombano che ha consentito di localizzare il testo.

I manoscritti che la tramandano sono:
Pa = Paris, BNF lat. 1154, ff. 132rb-133ra
Br = Bruxelles, B.R. 8860-8867, ff. 39r-40r
Tr = Trier, Bistumsarchiv 133 c pp. 55-6 (ff. 29r-v)
Ve = Verona, B.C. 90 ff. 45r-46r
Fu3 = Fuldensis deperditus (ex Hrabani Hymnis in Venantii Fortunati Opera, ed. Christopher Brouwer, 1617 p. 85).
Edizioni precedenti erano state quella di L. A. Muratori (1726), dal codice di Verona trascritto da Bartolomeo Campagnola («R.I.S.» 2, 2, p. 690), poi da Martin Bouquet, Recueil des histoires des Gaules, Paris 1781-1833, vol. V, p. 407), che lo attribuì a un Colombano abate di Saint-Trond (cfr. Gesta Abbatum Trudonensium, Continuatio III P. I c. 2, in MGH Scriptores 10, p. 370), quindi da E. Du Méril nel 1843, che utulizzò per primo il codice di Parigi, e dallo stesso manoscritto di E. De Coussemaker nella sua Histoire de l'harmonie, p. 91. Il ms. B fu invece usato per primo da Pertz, su descrizione di Bethmann, nell'edizione pubblicata in appendice al testo di Eginardo, Vita Karoli (MGH Script. rer. Germ. 25) 1911 p. 48. Il manoscritto di Treviri invece è stato usato per primo da Dümmler (che ne comunicò la scoperta in «ZfDA» 15, p. 450).
Tutti i manoscritti sono stati usati nell'edizione critica di E. Dümmler in MGH Poetae 1 pp. 435-6, ma in quella sede l'apparato non registra molte omissioni di versi da parte di Fu3, legge male in alcuni passi (ad es. 18, 2) e talora inserisce lezioni che non esistono (ad es. plango). L'apparato è misto, fra tradizionale e redazionale.
Pa sembra trasmettere una redazione relativamente autonoma fin nel titolo, che identifica il genere come Planctus, nell'omissione del refrain in molte strofe (mentre in quelle dove lo trasmette il ritornello è giustificato a destra ed evidenziato in verde, con punto e virgola finale), nella posizione di alcune strofe (ad es. 6 dopo 17), nell'omissione delle strofe 8-10; 12, 2-14, 1; 16; 19-20, nella strofa aggiunta dopo la 17 e in una serie di lezioni singolari. Andrebbe dunque letto nel testo proprio, ricavabile dalle trascrizioni del CD-ROM.
Fu3, l'unico ad avere la lezione giusta a 1, 2, presenta un titolo assolutamente singolare, presenta omissioni proprie (19, 1), colloca la strofa 6 dopo la 9, usa la grafia Carolo, a meno che non sia una correzione dell'editore Brouwer, e presenta errori singolari come 16, 2 principera; 17, 1 stinge, 17, 2 effende. Non parlerei però in questo caso di redazione vera e propria.
Br e Tr sono accomunati da errori come 4, 2 matronas, 12, 1 Ve e formosa, 14, 1 fecundumque, 15, 1 vox. Tr innova poi singolarmente in casi come 1, 3 (refrain) e 3, 2 tenentur et magnum.
Ve si distingue sul piano della fonetica per scambi x/s, d/t, c/g (acmina 7, 1), per dissimilazione (perpensa 13, 1) per l'uso della legatura & anche in parole distinte (ad es. v&tibi per vae tibi, o a 17, 1 string&uas per stringe tuas), e nella presenza di accusativi pro ablativi. Usa la maiuscola nel trascrivere imperatorem a 9, 1.
L'errore littore a 1, 2, dove è richiesto litora, comune a tutti tranne Fu3, fa pensare a un subarchetipo corrotto (o a un errore d'autore, nel caso che la lezione giusta in Fu3 sia effetto di correzione dell'editore, il che però non avviene in altri casi di errore evidente).
La forma del ritornello accomuna Ve e Tr, ma possiamo ritenere che sia in lezione giusta.
Non ci sono errori che accomunano Fu3 Ve Pa, che hanno invece ognuno evidenti differenze sia nella presenza di lacune (Pa e Fu3, non coincidenti) sia di vere e proprie redazioni (Pa), sia di errori singolari (ne ha molti Ve: si pensi a 7, 1 acmina; 13, 1 perpensa; 14, 1 gleber terre;).
Una ricostruzione grafica dei rapporti fra i manoscritti come emergono dal testo che abbiamo pubblicato è:

 

La presente edizione modifica alcuni passi (ad es. 11, 1; 16, 1), sistema e arricchisce l'apparato, e nell'interpunzione cerca di restituire il collegamento fra le strofi che l'uso dell'intercalare tende a oscurare.

ELEMENTI METRICI E LINGUISTICI
I versi sono dodecasillabi (5p+7pp, 12i.7) con cesura dopo la quinta sillaba ad andamento prevalentemente giambico (A solis, infantes, Iam iam, Hoc poscunt; gli altri incipit di strofa sono invece apparentemente trocaici) e assonanze irregolari (in a- la str. 1 e la 15; in e/i la 4, la 8 e la 16; in -u la 6, la 9 e la 18; in -o la 11, in -e la 19). Diastole a 5, 2 interitum e 15, 1 retulit, una dieresi a 7, 2 requiem. Iato a 13, 1 perpessa iniurias e 17, 2 pro illo ad dominum. Il verso intercalare Heu mihi misero è una sottounità del verso principale (6 sillabe, 6 pp).
La lingua suscita l'impressione di uno strumento ancora naturale, che si basa su alcuni richiami di tradizione poetica (come l'incipit da un celebre inno di Sedulio, e altre possibili riprese da Ovidio e dai Carmina Epigrafica) ma esibisce una sostanziale autonomia, integrata in evidenti suture da qualche ambizione allitterativa (1,2 planctus pulsat pectora; 9, 2 telluris tegit titulatus tumulus, e la serie di genitivi in -um nella strofa 6) e dalla ricerca di lessico elevato, anche se non sempre congruo: detrimentum per "perdita" a 4,2; il raddoppio sinonimico fideles et creduli a 8,1; la ripetizione di requies tre volte, l'irrituale accostamento diaugustus e facundus per Carlo a 14, 1. Da notare la completiva precale (ut illi donet) priva di reggente a 18, 1, non priva di una sua eleganza: cfr. su questo Stotz HLLMA p. IX 74.11 (Bd. IV).


1 Cugnier, Histoire, p. 247. Potrebbe essere la stessa persona che fa da messo a re Pipino a Roma negli anni ‚60 del 700, definita religiosissimus vir e citata in MGH. Ep. I (ed. Gundlach, Epistolae I, Berlin 1892), p. 522, 32; 524, 32; 549, 17.