Anni
Domini notantur in praesenti linea
(ed.
C. Savini e I. Volpi)
Il
ritmo Anni domini notantur è un componimento computistico
anonimo, attribuito per la prima volta da Meersseman e Adda, nella
loro edizione del 1966, a Pacifico arcidiacono di Verona, vissuto fra il 776
e l’844.
I codici che trasmettono il ritmo non
offrono, però, né un autografo pacifichiano né
un’attribuzione esplicita a Pacifico o ad altri autori. Il
componimento appare tramandato sotto il titolo Rithmus Dyonisii de maio computo nel
manoscritto S. Gallo, Stiftsbibliothek 450 (Sg5) e Versus Dionisii de annis Domini
nostri Iesu Christi in Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica, Reg. Lat. 755 (Va7), ma il riferimento a Dionigi il
Piccolo non sembra tanto relativo a una eventuale paternità del
componimento, quanto alla materia trattata nella prima strofa, che affronta il
tema della cronologia. I versi appaiono, inoltre, tramandati sotto il
titolo Dionysius de annis tra un cospicuo gruppo di
apocrifi bedani, i così detti Bedae pseudoepigrapha, e furono
pubblicati tra le opere di Beda nell’edizione di
Basilea del 1563 e in quella di Colonia del 1612 (Ba), riprodotta
dal Migne nella Patrologia Latina (PL, 94, 637-642).
Gli unici manoscritti che sembrano riportare tale
attribuzione sono l’antifonario della Cattedrale di Léon, del 1069,
che tramanda il ritmo sotto il titolo Versi
ritmici Bede de totius compoti serie1 e
il più esplicito ms. della BAV, il Vat. Lat. 1548, ove si trova la
rubrica: Versus Bedae conpotistae2.
L’attribuzione del ritmo a Pacifico,
sostenuta da Meerssman e Adda3, deriva essenzialmente da
motivazioni di ordine cronologico e formale. Per i due studiosi il punto di
riferimento è il codice Laurenziano Pl. 16.39 (Fi1), che appare come il
testimone più antico della tradizione. La sua trascrizione, infatti, databile
intorno all’anno 817, e la sua grafia rimandano allo scriptorium veronese
della prima metà del IX secolo, all’inizio della carriera di Pacifico come capo
della scuola capitolare. Inoltre, nel medesimo manoscritto è contenuto l’Opus excerptum,
raccolta di testi computistici utili all’insegnamento, che sembra essere la
fonte di Anni Domini notantur. I due studiosi ipotizzano anzi
che le due opere siano di un unico autore, il quale deve essere anche il
compositore del ritmo De ratione XII signorum (sicuramente
di Pacifico), poiché l’argomento ivi trattato è presente nell’Opus e
volutamente omesso in Anni Domini notantur: quest’ultimo
sembra dunque realizzato per colmare tale lacuna. Positivo per l’attribuzione a
Pacifico sembra loro il confronto di Anni Domini con altre
opere attribuitegli con maggiore certezza (Argumentum horologii nocturni e De ratione XII signorum, rh. 116
e rh. 117 Strecker)4: i carmi sono in versi
ritmici quindicenari, presentano la stessa disposizione strofica e i
medesimi fenomeni di spostamento dell’accento.
Avesani, nella sua recensione al volume di
Meerssman-Adda5, non ritiene questi dati risolutivi per
l’attribuzione: la struttura dei carmi è tipica dei componimenti veronesi di
quell’epoca, non caratteristica del solo Pacifico, e, riguardo al rapporto
con De ratione XII signorum, è impossibile stabilire
se si tratti dello stesso autore o di interventi successivi volti
alla razionalizzazione e semplificazione di questa materia di studio. Lo
studioso rileva, piuttosto, che, seppur siano presenti in Anni Domini tenui
accenni alla simbologia cristiana, non vi si riscontrano i toni polemici tipici
del carme sicuramente pacifichiano; la cultura pagana, anzi, è qui accolta
senza soluzione di continuità. Inoltre, «Se l'autore fosse effettivamente
Pacifico, sorprenderebbe vedere Opus e ritmo copiati a Verona
a quella data, nello 'scriptorium' della cattedrale, dove Pacifico era
Arcidiacono da oltre un decennio, senza che venisse indicato il suo
nome. Né si potrebbe obbiettare che il codice [Fi1] è mutilo all'inizio, perché
prima dell'Opus sono altri scritti che a nessuno verrebbe in mente
di attribuire a Pacifico. E anche il modo, sopra riferito, con cui le ultime
due strofe del ritmo furono numerate nel codice [ricominciano da I e II],
farebbe pensare che tale numerazione sia stata aggiunta in un ambiente diverso
da quello in cui il ritmo fu composto»6.
La provenienza veronese di questo testo è
comunque riconosciuta da Avesani, mentre rimane tutt’ora aperta la
questione attributiva.
Sigle
dei testimoni utilizzati
(Ba Venerabili Bedae presbyteri Anglosaxonis viri opera,
I, Colonia 1612, p. 413)
Bar Barletta, Basilica del Santo Sepolcro, s. n., 10r-11r, s.
XII-XIII
Cv Cava dei Tirreni, Biblioteca della Badia
3, ff. 93v-95r, s. XI
Di Dijon, Bibliothèque Municipale 448(269),
ff. 188v-189v, s.
XI I m.
Fi1 Firenze, BML, Pl. 16.39, ff. 79r-84r, a. 817
Fi2 Firenze, BML, Strozzi 46, ff. 6r-9r, s. XIV
Lé Léon, Cattedrale, Antifonario, ff.
26r-27v, a. 1069
Lo5 London, BL Royal MS 13 A XI, s.
XI-XII
Ny New York, The Morgan Library,
M 925, ff. 47v-53r, s. XI
M Madrid, BN 19, ff. 51r-52r, s. XII
M1 Madrid, Biblioteca Nacional, 9605, ff. 57r-58v, s. X-XI
Mc Montecassino, Archivio Monumentale 230, f.
7r-8r, s. XI
Mi1 Milano, Biblioteca Ambrosiana,
D 48 inf., ff. 110r-112v, a. 1018.
P Padova, Biblioteca Antoniana I.27, ff.
88v-90r, a. 879-883
Pa13 Paris,
BnF, lat. 7419, ff. 52v-54v, s.
XI
Pa30 Paris, BnF, lat. 12117, ff.
174v-176r, a.
1060-3
Pa31 Paris, Bnf, lat. 7418a, ff. 69v-73v, s.
XII m.
Ro Roma, Biblioteca Angelica 123, ff.
12v-14v, s.
XI
Sg5 S. Gallen, Stiftsbibliothek 450, ff. 39-42, s. XI
Va6 Città del Vaticano, BAV, Reg. lat. 1723,
ff. 84r-85v, s. XII
Va7 Città del Vaticano, BAV, Reg. lat. 755, ff.
14v-17v, s. IX-X
Va8 Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 5330,
ff. 92v-98r, s. IX
Va9 Città del Vaticano, BAV, Ross. 144, ff.
48r-52v, s. X-XI
Va10 Città del Vaticano, BAV, Ross. 247, ff. 6v-8r, s. XI
Va11 Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 1548, ff.
69r-75r, s. XII
Va16 Città del Vaticano, BAV, Ottob.
lat. 6, ff. 23r-24v, s. XI-XII
Zü1 Zürich, Zentralbibliothek, C 62, ff.
218r-219r, s. X
Zü2 Zürich, Zentralbibliothek, C 180, ff. 49
sgg., s. XII
Profilo
ecdotico
Il componimento è tramandato, per quanto finora accertato (ma l’emersione
di nuovi testimoni in futuro è altamente probabile) da ventisette manoscritti
databili dal IX al XIV secolo, legati a più centri di irradiazione e di
trasmissione. Si tratta di una tradizione viva, aperta, che manifesta complesse
relazioni fra i codici. La redazione originaria del ritmo è stata oggetto di
manipolazioni e adattamenti non solo linguistici, ma anche strutturali
(soprattutto nei codici del X e XI secolo), come la riscrittura di intere
terzine, l’inserimento di versi nuovi o estrapolati da altri componimenti,
oppure la trasmissione parziale del testo, secondo le esigenze didattiche e le
direttive culturali di coloro che ne usufruirono. Come esempio possiamo
riferire la particolare composizione del testo nell’Antifonario della
Cattedrale di Léon (Lé) che riporta la prima parte del ritmo (terzine 1-28)
conclusa dalle due terzine finali rivolte al computator (61 e 62) – con un testo molto vicino a quello tradito
dal Reg. Lat. 755 (Va7) – per poi riprendere dalla terzina 29 e proseguire la
trascrizione dei versi fino in fondo, con molte lezioni proprie e altre
accostabili a quelle presenti nei testimoni più tardi e interventisti.
La tradizione del nostro ritmo si presenta al suo esordio (dal nono fino al decimo secolo) piuttosto omogenea, con variazioni minime e senza strofe spurie o tagli consistenti. Di questo primo nucleo gravitante attorno a Verona menzioniamo anzitutto Fi1, il testimone più antico risalente all’817, che tramanda il ritmo nella sua composizione base di 62 terzine insieme all’Opus Excerptum, da Meersseman-Adda attribuito a Pacifico (come anche lo stesso Anni Domini) e che, secondo l’ipotesi di Robertini, potrebbe essere addirittura a capo della tradizione, o comunque il diretto derivato dell’archetipo. A questo aggiungiamo in prima battuta: P (Leno? Verona?, a. 879-883), il più tardo, ma conservativo, Ro (Bologna, a. 1029-1035) e Va16 (Nonantola, XI sec.), sicuramente copia ottima di un codice antico, la cui III unità, contenente il ritmo, è stata accostata a Fi1 già da Strecker e poi da Alberto Farmhouse. P, Va16 e Ro riportano la capitolazione delle strofe come in Fi1 (Va16 e Ro infatti rinumerano i capitoli, in P i numeri sono omessi), pur non presentando l’Opus. Va però ricordato che il testo in Va16 è contenuto in un unico quaternione (ff. 23-30) poi aggiunto ad altro materiale di diversa provenienza, in Ro il brano è seguito da una Explanacio, mutila, dello stesso (in modo simile si trovano spiegazioni anche in Bar, Va11 e Ny), mentre in P la sintesi computistica che precede il ritmo presenta affinità sia con l’Opus che con l’Explanacio. Nulla vieta, insomma, che la seconda parte dell’Opus excerptum, che corrisponde piuttosto puntualmente agli argomenti del ritmo, e che lo precede in Fi1, sia in realtà derivata da Anni Domini e non, come è stato sempre sostenuto, specie da Meersseman-Adda, il contrario. La fonte di entrambi è fornita da alcuni passi del DTR di Beda che in Anni Domini sono spiegati inizialmente con corrispondenza perfetta tra capitolo e strofa, poi con più terzine dedicate al medesimo argomento. Questa suddivisione è chiaramente rispettata sia dai titoletti presenti nell’Opus, sia nelle rubriche dei primi testimoni del componimento (a questi è concorde Ny).
I primi manoscritti sono legati anche dalla forte
somiglianza nel contenuto, analogamente a quanto avviene nei codici
appartenenti alla famiglia β (v.
infra), composta da CV, M e Fi2.
Ma, mentre in β l’ordine
dei testi nei vari testimoni subisce variazioni minime, in Fi1, P, Ro e Va16 la
situazione si presenta parcellizzata, come se si fosse davanti a del materiale
non ancora riunito in un unico codice. Da notare che P, Ro e Va16 presentano il ritmo sui segni zodiacali
attribuito dagli studiosi a Pacifico, Spera caeli duodenis, senza che
sia mai menzionato, attestato altrimenti nel solo Augsburg, Staats- und
Stadtbibliothek, 2° 8. In Fi1 sono riuniti degli excerpta isidoriani sui segni
zodiacali8 e
sulla sphera caeli, ma senza che il materiale sia messo in versi. In Ro
di Spera caeli sono riportate solo tre strofe, ma precedute da altre,
tra le quali compare: Mira prorsus paganorum et sua demencia, qui sideribus
dederunt mortuorum nomina masculorum et feminarum quos colebant ydolis,
così simile, nell’invettiva e nella struttura, alla strofa terza di Spera
caeli duodenis (Mira prorsus paganorum et seva dementia, qui in caelo
transtulerunt tam diversas bestias, cum Olimpo constet esse angelorum agmina).
La situazione originaria
della sequenza di testi presentata da questi primi codici sembra dunque essere
quella di un coacervo di materiali sciolti sui quali si lavorava,
possiamo credere senza grossi dubbi presso lo scriptorium veronese, alla
compilazione di sillogi computistiche atte all’insegnamento, per le quali si
andavano via via raccogliendo brani esplicativi e creando dei componimenti
ritmici mnemotecnici che consolidassero quanto appreso. La versificazione
scelta per i nuovi brani, forse proprio per l’impulso dato da Pacifico, è
categoricamente il settenario trocaico ritmico riunito in terzine. Un simile
milieu potrebbe inoltre gettare luce sul testo riportato da Fi1, la cui
redazione primitiva è stata in più punti alterata da correzioni successive,
apportate da più mani e in diversi momenti.
Di seguito l’elenco degli interventi.
- 5.3 L’intero verso è stato riscritto da una mano più tarda9 (Fi12)
in concordare hos probabis ipso apto numero; versione accolta da Cv,
Fi2, M e, in parte (concordare os probabit ipsi acto numero), da Va8.
- 7 rubrica De cyclo decennovenali +ultimo+: mantenuto in NyPPa13RoVa7
e, in parte, in Di e Va16 (vel ultimo).
- 7.3 ultimum repperies risulta corretto in legalem invenies
da Fi12; lezione accolta da Cv, Fi2, M, da un revisore di P (P1)
e, in parte, da Sg5.
- 8.3 cum epactȩ è corretto in cum epactis da Fi11a.
- 27.3 argumentum quo è corretto (Fi11a) in argumento
quam, con inchiostro poco leggibile, soprattutto su quo. Forse per
tale motivo Pa13 trascrive argumento quo, seguito poi dal ramo
interventista. La nuova lezione è accolta invece in Cv, Fi2 e M, ma anche dalla
famiglia di Lo5, Di e Va7 (potrebbe però trattarsi di un intervento di natura
poligenetica).
- 37 titolo aggiunto sul margine sinistro (ubi saltus lunę ponendus est),
non ripreso da alcuno (Fi14).
- 38.3 fecit è corretto in facit (forse da Fi11a);
rimane fecit in Cv, Fi2, M e Va16.
- 43.3 observare +?+ [valde] monet da Fi11.
- 46.2 +perque?+ [quere] (forse stessa mano che in 43.3, Fi11)
– con p.q. ancora leggibile; diffrazione già nei testimoni più antichi:
perque Fi1Fi2 (Mi1 per qué) et alii;
per quem CvMi12;
quem per Ro;
intente perquirendo lineas Cv1;
querat P1Sg5;
perquirat McPa30Pa31Va6Zü2;
quere Fi12.
- 49.2 virgiliae corretto in vergiliae in Fi11a;
- 51.1-2 una mano diversa dalla principale (Fi11a) aggiunge le
note tironiane per la lettera m (si riconoscono perché costituite da un
unico tratto diritto, mentre quelle del copista principale hanno il tratto
ondulato): una[m] sane parte tantum in diei circulo / luna[m] – versione
presente anche in Va16 (almeno su unam) e in Pa13. P mantiene luna,
mentre su una e parte compaiono delle note tironiane più
distanziate dal testo rispetto alle altre: è probabile che si tratti di
un’aggiunta di P1, sicuramente legato alle mani successive di Fi1.
- 53 interamente riscritta da Fi11 e presente in tutti gli altri
testimoni (ma con la versione corretta unum punctum):
Unus punctum quia tribus partibus colligitur
tres etates nempe lune insimul nectentibus
signum unum reddunt plenum atque senis partibus.
- 54.1 verset[ur] in Fi11 (ma molto probabilmente
è stata nuovamente aggiunta la nota tironiana cancellata per la rasura sulla
strofa precedente).
- 58.1 [quater] +?+ ducta (Fi11, stessa mano di
43.3, 46.2 e 53).
- 55 risulta interamente riscritta sopra rasura in Fi1 da una mano del
XII-XIII sec. (Fi13):
Est in media vel prima prompta computatio,
namque alio in signo quot partes habuerit,
tot sequentibus in signis adice vel retrahe
Edizione: tot sequentibus adice vel retrahe pariter.
In questa modifica il v. 3 adice vel detrae pariter, così attestato
da pressoché tutti i codici con varianti minime, risulta corretto in in
signis adice vel retrae secondo una versione simile a quella tramandata da
Sg5 (in signis adice vel detrae).
Secondo la sequenza di interventi indicati riconosciamo in Fi1 diverse
fasi.
1) Fi1 – bella copia idiografa di un’opera ancora in gestazione.
2) Fi11 – qualcuno, che potrebbe essere anche l’autore, interviene sulla redazione di Anni Domini (ma potrebbe anche darsi il caso di più mani, autografa e altre idiografe, intervenute nello stesso torno di tempo). La scrittura è molto diversa da quella di Fi1, ma potrebbe essergli temporalmente vicina: se si confrontano le correzioni con il testo in Paris, BnF, 1920, dove compare, secondo Campana, la firma di Pacifico, ritroviamo delle caratteristiche in comune, compresa la a a doppio occhiello. Quando le modifiche sono riportate al margine (dove però si ingenerano i fenomeni di diffrazione), in 43.5 e 54.1, la scrittura appare chiara; comprensibilmente più barcollante, ma con il testo unanimemente accolto, su rasura in 46.2 e 53.
3) Fi11a – Correzioni a errori di copia apportati con un
inchiostro più chiaro di quello di Fi1, da una mano che cerca di mimetizzarsi
con quella del testo.
4) Fi12 – Correzioni apposte probabilmente da un’unica mano,
vicine nel tempo, a testo nella famiglia b (ma in un caso anche in γ e P1).
5) Fi13 – Correzione di mano del XII-XIII sec. al v. 55,
somigliante al solo Sg5.
Consideriamo Fi1, per le sue parti cancellate e sulla cui rasura è stato scritto un testo poi comune al resto della tradizione, come uno stadio precedente all’originale: solo dopo le correzioni di Fi11 e di Fi11a, delle quali non sappiamo dare un ordine di successione, Fi1 può essere ritenuto ω1 o molto vicino a esso. Se però confrontiamo le lezioni di Fi1 (e non delle mani successive) con quelle dei codici del gruppo più antico (P, Pa13, Va16 e Ro) effettivamente Fi1 non risulta avere lezioni singolari, se non in unam sane parte tantum (51.2), evidentemente errata e difatti variamente emendata dalla tradizione e da un revisore di Fi1 stesso.
Dal secolo undicesimo, i rimaneggiamenti, le aggiunte o espunzioni di
strofe e gli evidenti casi di contaminazione fanno presuppore l’esistenza di
più codici che dovevano contenere delle varianti in interlinea come accade, ad
esempio, in P1 e in Mi11, e che hanno complicato
ulteriormente la trasmissione, rendendo difficile formulare ipotesi che possano
tenere conto di tutti questi fattori. Dato che il ritmo è stato creato come
sussidio alla memoria, inoltre, non è improbabile che alcune delle numerose
varianti presenti nei testimoni derivino da tradizioni orali e che alcuni
ripristini siano derivati da questa fatica piuttosto che da un testimone
scritto.
Riportiamo di seguito gli errori e le varianti che hanno permesso
l’individuazione della famiglia ‘interventista’, θ, benché la
maggior parte possa essere di natura poligenetica. Tra parentesi quadre la
versione a testo.
8.2 [undecimo kalendas] undeno
kalendarum BarCvM1McMi1NyPa31Sg5Va6Va10Zü2, undecimo
kalendarum Pa30; in Zü1 compare XI kalendas, ma può darsi che la
vicinanza alla lezione originale sia dettata dalla casualità delle
terminazioni, dovuta alla difficoltà a sciogliere le abbreviazioni presenti
nell’antigrafo. Sempre in Zü1, infatti, leggiamo XII kalendas invece di duodenarum
kalendarum (45.1).
9.1 [cum
tenet in] continetur in Mi1Zü1 cum tenetur in McMi11Pa30Va6Va11Zü2
cuntenetur in Pa31 cum
tenetur Ba BarCvSg5Va10.
16.3 [remanente] remanendo CvLéM1Pa30Pa31Va6Va10Va11Zü1Zü2
remando Mc remanent NySg5
manca str. in Bar.
18.3 [habens] costans
CvM1McSg5Par30Va6Va10Va11Zü1 constat
Zü2 manca str. in Bar e Pa31.
19.2 [endecas requiritur] endecasque queritur
BaMcPa30Sg5Va6Va10Va11Zü1 (quéritur
McVa6) e Cv1 undecasque M1 manca str. in
Bar e Pa31.
26.2 [tamen] tantum
CvM1McMi1Pa30Sg5Va6Va8Va10Zü1 semper tantum
Va9, manca str. in Bar, Pa31, Va11 e
Zü2.
33.2 [faciat] soleat
BaM1McPa39Sg5Va6Va9Va10Zü1Zü2 e Cv1 manca str. in Bar, Pa31 e Va11.
42.1 [dies horis] horis dies M1McPa30Sg5Va6Va9Va10Va11Zü1Zü2 manca str. in Bar e Pa31.
42.3 [seritur]
ponitur LéM1McNyPa30Sg5Va9Va10Va11Zü1Zü2
manca str. in Bar e Pa31
48.2 [septus] septimo LéM1McPa30Va9Zü2 septum Cv septem Pa31Sg5Va6Va10 septimus Va8Va11Zü1 manca str. in Bar e Va11.
58.1 [quater ducta] ducta (a+p+ucta
Sg5) quoque quater luna McSg5 ducta quater Pa30Pa31Va9Va10Zü1 ducta namque quater M1 manca str.
in Bar e Va11.
59.2 [deca] dena LéM1McNyPa30Pa31Sg5Va9Va10Zü1Zü2
anche Cv1 manca str. in
Bar, Va6 e Va11.
61.3 [patrum dicta] dicta patrum M1McPa30Pa31Sg5Va9Va10Va11Zü1Zü2 manca
str. in Bar e Va6.
62.3 [cum repleta esse putat] computatur plena esse M1McPa30Pa31Va10Zü1Zü2 cum putatur Mi1 computatur esse plena Sg5Va11 manca str. in Bar e Va6.
La rappresentazione grafica delle
relazioni fra i codici potrebbe dunque essere la seguente:
Profilo contenutistico - strutturale
L’organizzazione del contenuto procede strofa per strofa e lo svolgimento tematico risulta alquanto complesso, sia per la varietà degli argomenti che per l’ampiezza del testo: 62 terzine, per un totale di 186 versi. È uno dei ritmi computistici più lunghi che ci siano giunti, se pensiamo che anche il Rythmus de XIX annis risulta di 156 versi o il Rythmus de ratione duodecim signorum di 63 versi. La maggior parte dei ritmi, almeno nella forma in cui sono traditi, difficilmente si attesta oltre una ventina di versi, contenendo argomenti più limitati e circoscritti.
Il ritmo vuole fornire una sintesi d’insieme delle conoscenze fondamentali in materia di computo e di calendario, sia in relazione ad eventi del ciclo liturgico, come la Pasqua, che a fenomeni astronomici e cosmologici: ciclo lunare, anno bisestile, equinozi e solstizi, stagioni, transiti lunari, fasi lunari. Un ritmo mnemotecnico di tipo misto9, destinato alla formazione “di base” del computator, esso si richiama a tutte quelle conoscenze che rientravano nel compotus necessarius, per usare un’espressione di Incmaro di Reims10. Il ritmo si rivolge a un computator che deve saper utilizzare tavole pasquali e calendari e determinare la data della Pasqua, i giorni della settimana, l’inizio dei mesi, attraverso le posizioni della luna, le epatte, i concorrenti e i regolari, ma senza l’ausilio di libri. L’utilizzo di strumenti come l’orologio, a cui nel ritmo si fa riferimento (cfr. 46,2), risulta di supporto a quello a cui il computator deve giungere basandosi sulla razionalità del calcolo e sull’autorità dei Padri. Il ritmo a volte mostra un taglio più elementare, come quando spiega il calcolo dell’anno bisestile (strofe 39-42) o i termini delle stagioni (strofe 47-50), a volte, invece, dà per scontate alcune cose, ad esempio si addentra nel complesso argomento dei transiti lunari sullo zodiaco (strofe 51-56), omettendo di inserire i nomi dei dodici segni, ed esortando (strofa 56) il computator ad uno studio personale per il quale evidentemente poteva utilizzare altri componimenti (lo stesso Pacifico aveva composto un ritmo sui dodici segni zodiacali11). Questo aspetto appare, inoltre, legato alla fonte in prosa da cui sembra derivare il componimento. Il ritmo faceva parte di un trattato sul computo composto di altre due sezioni, nelle quali l’argomento dei dodici segni era già stato trattato attraverso la citazione dei versi di Ausonio relativi allo stesso tema12.
La fonte ultima del componimento è il De temporum ratione di Beda, ma il ritmo sembra costituire parte integrante di un trattato di computo, dal titolo Opus excerptum ex libro compoti, tramandato nel manoscritto Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Pl. 16.39 insieme al carme, secondo uno schema ricorrente, per il quale molto spesso i versi computistici appaiono a commento e integrazione di esposizioni in prosa o di dialoghi sul computo. L’autore mostra una conoscenza approfondita della sua fonte, in quanto è capace molto spesso di parafrasare letteralmente intere espressioni. Stranamente, però, a volte cade in banali errori, come quando dice di dividere invece di sottrarre (cfr. 3, 3: per triginta partiendo epactas repperies; 23, 2: nihilominus secundo triginta diviseris) oppure sbaglia la quantità (54, 3: per triginta dividendo tunc signa repperies anziché per decem).
Anche sul piano linguistico il rapporto con la fonte mostra, a volte, una distanza significativa, in quanto si alternano riprese quasi letterali a momenti di varietà e ricerca lessicale, che testimoniano l’utilizzo di modelli linguistici diversi e una buona base culturale classica dell’autore, nonostante le presenza di alcune “particolarità” morfologiche e sintattiche che riflettono le consuetudini grammaticali dell’epoca. Una certa cura stilistica si evince anche nell’uso delle parole più tecniche come i verbi matematici: il nostro autore, ad esempio, predilige divido a partior o extendo a multiplico, utilizzati invece nelle fonti in prosa.
Nonostante la materia computistica e il carattere didattico, il componimento mantiene un’impronta biblico-liturgica, riscontrabile soprattutto nella strofa iniziale e nelle due strofe esortative che chiudono il ritmo.
Le parole con cui si apre il nostro carme sembrano riecheggiare i versi iniziali del Vexilla regis, una preghiera, tratta dal poemetto composto da Venanzio Fortunato, che viene cantata il Venerdì santo in onore della Santa Croce.
Infine, la similitudine venatoria degli ultimi versi (62, 2: sicut manu damula) appare mutuata dal Libro dei Proverbi (… nec dormitent palpebrae tuae/eruere quasi dammula de manu et quasi avis de insidiis aucupis/vade…)13, ma sicuramente era nota al nostro anche attraverso i commenti ai testi biblici: omnia ergo circum inspice, ut effugias sicut dammula de retibus et sicut avis de laqueo14. Si trova sempre in contesti che invitano l’uomo alla prudenza, all’attenzione e alla scaltrezza, come i nostri versi che esortano il computator allo studio assiduo dei Padri15. Forse può aver funto da intermediario questo passo di Beda, contenuto nell’Allegorica expositio in Parabolas Salomonis (0960A):
Ne dederis somnum oculis tuis, etc.
Somnum dat oculis, qui subditorum curam omnino negligit; dormitat autem qui quidem reprehensibilia eorum gesta cognoscit, sed haec, propter
mentis taedium, digna invectione non corrigit. Eruere quasi damula de manu, etc. Velut damula de manu captantis quaerit evadere,
tantum nitere ut, auditore tuo salubriter instituto, ipse a sponsione vitae eius liber reddaris.
Profilo metrico - prosodico
Il ritmo Anni Domini notantur è un componimento in quindicenari con andamento trocaico. Si tratta di un verso ritmico molto antico, attestato per la prima volta in un inno abecedario proveniente dall’ambiente irlandese del V secolo16, usato anche nella tarda antichità da un grammatico come Fulgenzio, e che vide una larga diffusione nella poesia latina ritmica medievale. Il verso imita la struttura e gli ictus del settenario quantitativo e risulta composto da due emistichi separati da una cesura mediana. Il primo è un emistichio formato da otto sillabe a uscita parossitona (8p); in questo ritmo esso tende a mantenere anche una certa regolarità interna nella successione di toniche e atone: in 139 casi ciò da adito a una cesura secondaria che divide l’emistichio in 4+4 sillabe producendo di regola un sistema di accenti invariabile (4p+4p). Per quanto riguarda il secondo emistichio, la parola finale è proparossitona (7pp) e i due schemi presenti nel ritmo risultano i seguenti:
~́ ~ ~́ ~ ~́ ~ ~̀ 151 volte e ~ ~́ ~ ~ ~́ ~ ~̀ 35 volte. Il medioevo conserva l’alternanza di queste due varianti di accentazione, anche se lo schema mantiene rispetto al primo emistichio una maggiore irregolarità degli accenti. Si tratta di una tipologia di versificazione molto frequentata durante tutto il medioevo, in particolar modo durante il periodo carolingio; qui, inoltre, il principio della regolarità degli accenti tende a pervadere tutto il verso, non soltanto le sillabe poste al termine dello stesso o in cesura, secondo una modalità adottata soprattutto dai poeti dell’età carolingia che avevano ricevuto la loro formazione in Italia: Paolo Diacono, Piero da Pisa, Paolino d’Aquileia e Pacifico da Verona17.
I due componimenti attribuiti con certezza a Pacifico di Verona, Spera caeli quater denis e Spera caeli duodenis, presentano le stesse caratteristiche ritmiche del nostro, ovvero la prevalenza dello schema con cesura secondaria nel primo emistichio (rispettivamente 13 volte nel primo e 42 nel secondo) e il tipo hóris dúm revólvitùr nel secondo (18 e 52 volte) rispetto all’altro18.
I versi, inoltre, sono raggruppati in strofe di tre versi, elemento tipico dei ritmi veronesi di età carolingia.
I due emistichi che compongono i versi generalmente riproducono uno schema binario: il primo annuncia ed il secondo specifica. Se andiamo, ad esempio, ad analizzare la collocazione dei predicati che chiudono le frasi (repperies, invenies, invenitur), o quelli che esprimono un’esortazione, o una regola (alta stent memoria, amittes ignavia, est tenenda regula, habeto memoria, etc.) notiamo che essi sono spostati, di solito, nel secondo emistichio, in fine di verso.
I versi sono complessivamente sciolti, l’uso delle rime e delle assonanze appare, infatti, saltuario e irregolare e comunque impiegato solo alla fine del verso, mentre non compaiono mai rime interne. Si tratta, però, di rime o assonanze disillabiche o trisillabiche, che rivelano una tecnica di rima “grammaticale”, dove a verbo corrisponde sempre verbo o a sostantivo un altro sostantivo: prendiamo come esempio statio/ratio (24, 1-2). Possiamo segnalare solo due casi di rime ottenute con finali omofone (desinenze omografe): linea/crimina (1, 1-2) e regula/sedula (43, 2-3). Nel primo caso all’ablativo linea corrisponde l’accusativo crimina, nel secondo al nominativo regula l’ablativo sedula.
Ma la caratteristica prosodica prevalente sulle altre è lo iato, che ricorre 110 volte su 186 versi. Nella maggior parte dei casi si tratta di iati fuori cesura e con vocali contigue (in dittongo: a/e; o/a; e/i; e/e; e/a), in percentuale minore invece sono quelli ottenuti con vocali uguali (a/a; e/e; u/u) contigue o separate da consonante, soprattutto nella forma di accusativo (-am; -um; -em). Gli iati sono in prevalenza spostati nel primo emistichio dei versi, ma un significato ritmico particolare assumono quelli collocati in cesura, spesso legati a parole chiave come luna, Pascha o Christus, a segnare fra i due emistichi una continuità che si evidenzia anche sotto il profilo sintattico. La musicalità è segnata da alcuni nessi ricorrenti sempre in iato come facile invenies (23, 3), facile investigabis (39, 3), oppure nova inchoando (12, 3), nova inchoans (38, 3), rite inchoatur (49, 2), anche se la parola più ricorrente in iato è, dato anche il contenuto del ritmo, annus.
Criteri per la costruzione del testo
Il nuovo apparato è sensibilmente arricchito rispetto a quello delle precedenti edizioni del ritmo sia per l’apporto delle lezioni di nuovi codici (CvLéMSg5Va6Va7Va9Va10Va11) che per la correzione di alcune letture, frutto della trascrizione diretta di tutti i testimoni. Il testo risulta modificato sia rispetto a quello di Strecker, la cui edizione nei MGH si basava su un numero limitato di testimoni, che rispetto a quello delle più recenti edizioni di Mersseman-Adda e di Luca Robertini, che riproducono l’edizione del testimone più antico (Fi1).
Si è lasciato in apparato il riferimento alle lezioni di Ba, in quanto non è noto a quali testimoni faccia riferimento l’edizione, e a quelle accolte da Strecker, da Merseeman-Adda e da Robertini. Sono stati riprodotti i titoli dei capitoli, ove presenti, e il testo dei versi “extravagantes” inseriti in alcuni codici.
Sono riportate in apparato le varianti grafiche relative alla grafia del dittongo ae/e, le forme allotrope, come ci/ti, fenomeni di geminazione e di semplificazione, la grafia dei numeri e le abbreviazioni relative alle date, in quanto possono porre alcuni problemi di lettura e interpretazione del testo. Ad esempio molto spesso nelle date non risulta se viene sottinteso il sostantivo o l’aggettivo (per cui mai può essere sciolto in maii, maias o maiarum).
In nota sono state date le spiegazioni interpretative di alcuni passi.
1 Cfr. Cordoliani 1960, p. 109.
2 L’intitolazione è, tuttavia, meno chiaramente univoca di quanto possa apparire al primo sguardo, poiché nel manoscritto sono raccolti degli excerpta del componimento: la maggior parte di essi si trova sotto il titolo che abbiamo riportato, ma altri, senza rispetto dell’ordine originale e inframmezzati dalla prosa, compaiono nei fogli precedenti con la rubrica racio sperae dionisii de circulu magno pascae.
3 Cfr. Meersseman-Adda 1966, pp. 40-48.
4 Il primo che ha “restituito” i due carmi a Pacifico è stato Augusto Campana nel 1946. Cfr. A. Campana, Veronensia, in “Miscellanea Giov. Mercati”, II (Studi e Testi, 122), Città del Vaticano 1946, pp. 57-91.
5 Cfr. Avesani 1966, p. 909-922.
6 Avesani 1966, p. 919.
7 Cfr. l’edizione musicale curata da Sam Barrett.
8
9 Così descritta da Robertini (p. 9): «La mano del correttore imita, piuttosto goffamente, la mano del copista carolingio: l’imitazione è evidente nella lettera a (corcordare, probabis), riprodotta come a carolina aperta a doppia pancia (cc), mentre già in apto il copista ricorre al tipo di a più tardo (a), cui il copista carolingio ricorre solo nei titoli, mai nel testo del ritmo».
10 Cfr. Borst 1990, p. 65.
11 Cfr. rh. 117 Strecker.
12 Cfr. Opus excerptum 21, 321; Beda, 16.
13 Cfr. Prov., 6, 4-6.
14 Cfr. Ambr., hex., 6, 8, 48.
15 Di seguito i versi in questione: 61. Sensu semper cautus esto, computator optime, \ assiduitas legendi te magistrum exhibet, \ cum priscorum patrum dictis perscrutaris sedule. \\ 62. Mentem cuius si depascit torpor et desidia, \ labere a corde solet sicut manu damula, \ cum repleta esse putat, sicque restat vacua.
16 Cfr. Norberg 1958, p. 112 sg. Secondo Dag Norberg il ritmo Audite omnes amantes è stato composto da San Secondino (Sechnall) morto nel 447.
17 Cfr. Norberg 1958, p. 120 sg.
18 Cfr. ibidem.