2. Computistic Poems — Introduzione all'edizione critica

Tolle saeculo compotum, et omnia ignorantia caeca complectitur

(Cassiodorus, Institutiones II, 7)

 

Il calcolo della data in cui festeggiare la Pasqua ogni anno, che doveva tener conto dei diversi calendari romano (solare) ed ebraico (lunare), ha travagliato la Chiesa per secoli, provocando scontri talora duri (ad es. il sinodo di Whitby, raccontato da Beda nella sua Historia, nel 664 vide contrapposte le tradizioni dei monaci irlandesi e della liturgia romana), scissioni non sempre sanate (basti pensare alla differenza tuttora esistenza tra le date della Pasqua nella chiesa cattolica e in quella ortodossa) e di riflesso, una notevole mole di trattatistica. Sull’Ars computandi si sono cimentati molti autori altomedievali, fra i quali: Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Beda e Rabano Mauro. Così, la determinazione delle Horae era necessaria per la celebrazione l’Officio già nella Regula benedettina, la definizione dei giorni dell’anno, invece, era fondamentale per la strutturazione dell’anno liturgico e del martirologio. Questi bisogni determinarono la fioritura di trattati, più o meno estesi, tavole e, per quel che qui ci compete, componimenti poetici per la memorizzazione delle nozioni fondamentali della scienza del computus. Questi brani talora brevissimi (2 vv.), talora imponenti (si cfr. Anni Domini notantur di 62 strofe tristiche), si caratterizzano via via per la preponderanza dei versi ritmici, per la semplicità del dettato e la ripetitività delle formule, assecondando il criterio di utilità e l’evidente intento didattico-mnemonico. Un centro fondamentale di studio e sistemazione di questa trattatistica è la scuola cattedrale di Verona, dove operò Pacifico (prima metà sec. IX), al quale sono stati attribuiti i due componimenti Spera caeli quater senis e Spera caeli duodenis (rispettivamente sul funzionamento del notturlabio, scoperto dallo stesso Pacifico, e sui segni zodiacali) redatti in strofe tristiche di settenari trocaici ritmici, i versi privilegiati in ambito veronese e selezionati anche dall’autore di Anni Domini notantur.